L'Ato vuole i soldi ma i comuni non ne hanno


TERMINI IMERESE - L’Ato 5 Ecologia e Ambiente reclama 12.928.066,31 euro. E li vuole da tredici comuni del nostro Comprensorio, di cui gestisce il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. I comuni debitori sono Aliminusa, Caccamo, Campofelice di Roccella, Cefalù, Cerda, Collesano, Isnello, Lascari, Montemaggiore Belsito, Pollina, Sciara, Termini Imerese e Trabia. Essi devono somme variabili dai 212.458,79 euro, dovuti dal comune di Aliminusa, ai 5.109.742,88 euro richiesti a Termini Imerese. Nel mezzo si trovano tutti gli altri enti (vedi tabella qui pubblicata). Da questa “lista nera”, di cui Espero è entrata in possesso, mancano appena tre comuni: Castelbuono, Gratteri e Scillato. Si tratta di enti “virtuosi”, che non devono un centesimo di arretrato all’Ato per i servizi prestati, barcamenandosi solo con il corrente. Come si vede si tratta di una bella sommetta, quasi tredici milioni di euro, che la società d’ambito reclama ai comuni per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti già svolto e finora non pagato. E senza questi soldi l’Ato rischio davvero grosso, anche la bancarotta. Nati all’alba del 2000 per la gestione unitaria dei rifiuti, gli Ato (Ambiti territoriali ottimali) sono dei “morti che camminano”, perché per legge avrebbero dovuto essere stati aboliti già nello scorso mese di marzo. Ma siccome in Italia tutto ciò che è provvisorio diventa ben presto definitivo, eccoli ancora qui a continuare a svolgere nel bene o nel male il loro mestiere. Gli ambiti territoriali avrebbero dovuto rappresentare la panacea di tutti i mali legati alla precedente, spesso disastrosa gestione dei rifiuti da parte dei comuni. Invece essi hanno presto deluso tutte le aspettative che tanti – comuni, cittadini, ambientalisti – avevano profuso in essi, rivelandosi come nuovi, inutili carrozzoni burocratici, moltiplicatori di poltrone per politici trombati o per lacchè e portaborse di onorevoli in servizio permanente effettivo, gestori – spesso cattivi - della raccolta dei rifiuti nei comuni siciliani. Perché? Ma per diversi motivi. Innanzi tutto la refrattarietà ad una nuova, diversa politica di gestione dei rifiuti, che prevede anche la loro differenziazione, da parte dei cittadini siciliani, spesso dominati dall’amletico dubbio che i rifiuti differenziati vengano realmente raccolti e riciclati separatamente e che tutto non venga piuttosto messo insieme, vanificando così l’impegno profuso nel separare i rifiuti. E nonostante i roboanti annunci diffusi da Ato e comuni, finora la percentuale di rifiuti differenziati non arriva nel Comprensorio al 10 per cento. A questo si deve poi aggiungere il mancato o ritardato pagamento da parte dei comuni, i veri azionisti di queste società d’ambito, dei costi del servizio ricevuto, anche a causa dei notevoli tagli ai bilanci degli enti locali. Per Giuseppe Norata, presidente di Ecologia e Ambiente, il vero problema è invece politico, nel senso che non è stata attuata in ambito regionale una politica adeguata di smaltimento dei rifiuti. «Quello che manca – secondo Norata - è una rete di impianti e di strutture che consentano la chiusura del ciclo integrato dei rifiuti». I rifiuti, una volta raccolti nei comuni, sono suddivisi in diverse sezioni, in base alle loro componenti (organica, cioè di origine animale o vegetale; secca, costituita da vetro lattine, plastica, carta e cartone e indifferenziata, che comprende tutti gli altri rifiuti, quali materiali elettrici ed elettronici, rifiuti ingombranti, medicinali, rifiuti pericolosi) e poi conferiti nelle strutture adeguate. Ma la mancanza di apposite strutture di raccolta, gestione e smaltimento nel nostro territorio significa un aumento sostanziale dei costi, perché queste operazione devono essere gestite altrove. Non dobbiamo dimenticare, per esempio, che i camion dell’Ato devono recarsi quotidianamente presso la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, in provincia di Messina, o a quella di Motta Santa Anastasia, alle porte di Catania, quindi a parecchi chilometri di distanza da nostro territorio, per scaricare i rifiuti raccolti. Così spesso gli Ato si trovano a due passi dal crack finanziario, cosa che è successo un po’ ovunque nella nostra Isola e che adesso rischia di accadere anche nel Comprensorio, dove finora l’Ato 5 Ecologia e Ambiente ha rappresentato un’eccezione. Finora abbiamo detto, perché anche questa società d’ambito è ad un passo dal tracollo, se solo dovesse allargarsi il buco economico creato dai comuni debitori. E qui si tocca il nervo scoperto della questione. Gli enti locali hanno conferito obbligatoriamente per legge alla società d’ambito un compito che prima era svolto direttamente da loro, in house come si dice oggi. Ma l’Ato deve e vuole giustamente essere pagato per questo. Solo che i comuni – a causa dei tagli e della crisi economica – non hanno più soldi, indebitandosi fino all’inverosimile con la società, che adesso reclama il dovuto, pena il fallimento. Di fronte alla richiesta di pagamento avanzata dall’Ato 5 i comuni non sanno più che fare; allargano le braccia sconsolati, non potendo più allargare i cordoni della borsa, giustificandosi coi buchi di bilancio, aggravati anche dai mancati o ridotti trasferimenti centrali, o coi problemi di riscossione dei crediti, a causa dei mancati o ridotti introiti tributari. Nel frattempo l’Ato deve ricorrere alle banche per avere gli anticipi dei suoi soldi, sperando che domani non si trovi costretto a portare i libri in tribunale.

Pubblicato su: Espero - settembre 2011.

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