Perché il petrolio resta caro

Perché il petrolio resta caro nonostante la crisi ed il calo dei consumi? Tensioni geopolitiche ed altro tengono alto il prezzo del greggio. Ce lo spiega un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore di oggi.

Recessione e caro petrolio. Un binomio apparentemente inconciliabile. Eppure sui mercati dei futures le quotazioni del greggio continuano a restare su valori piuttosto alti. Indesiderabili per molti paesi consumatori, alle prese con una severa contrazione della loro economia, e quindi dei consumi di energia. Livelli che vengono spiegati ricorrendo alla ormai ricorrente e criptica formula: un cocktail di fattori che si accanisce sui mercati in cui le tensioni geopolitiche si alternano a dati economici difficili da decifrare.
Dopo cinque sedute consecutive in rialzo, a New York il Wti, greggio di riferimento in Nord America, ha accusato un deciso calo durante la sessione perdendo oltre un dollaro al barile per scendere quasi fino a 95 dollari al barile. In rialzo, invece, il Brent, petrolio benchmark per il mercato europeo, che è salito di circa 60 cents superando quota 113 dollari al barile. Un valore vicino ai recentissimi massimi da quattro mesi.
I dati sulla disoccupazione britannica, in calo per il 10° trimestre consecutivo, hanno contribuito a spingere le lancette del futures verso l'alto. Ma le stime del Fondo Monetario internazionale sulla crescita dell'economia mondiale, corretta al ribasso per quest'anno da 3,6 a 3,5%, hanno smorzato gli entusiasmi. E le previsioni negative sull'economia europea, - le stime per il 2013 sono passate da un +0,2% a meno 0,2%, - hanno frenato ulteriormente gli acquisti.
L'Europa è un osservato speciale, anche sul fronte energetico. Lo evidenzia una stima dell'Agenzia Internazionale dell'energia (Aie), che ha corretto al ribasso di 500mila barili al giorno a i consumi europei per l'anno corrente, portandoli così ai minimi da 20 anni. Un calo più che compensato dalla crescita dei consumi in Cina e in altri mercati emergenti, che porta la domanda mondiale nel 2013 a un aumento di quasi l'1% (stime del Dipartimento Usa dell'energia e dall'Aie).
Eppure tra i paesi esportatori di greggio c'è una tangibile preoccupazione. Abituati da due anni a tarare i loro budget su prezzi un tempo considerati eccezionali, non intendono assistere a un tracollo delle loro entrate. Ricordano bene quello avvenuto nel 2008, quando le quotazioni persero nell'arco di 5 mesi circa 100 dollari al barile. L'attuale bilancio tra l'abbondante offerta e la domanda non giustifica prezzi così elevati. E se le tensioni geopolitiche, soprattutto quelle legate a un conflitto con l'Iran, dovessero ridimensionarsi, ne seguirebbe un drastico calo dei prezzi. Riad è così corsa ai ripari. Il nuovo e vigoroso taglio produttivo in dicembre (-5% rispetto a ottobre, fermandosi appena sopra i 9 mbg), che non si vedeva da quattro anni, va in questa direzione: ridurre l'offerta. Anche perché le scorte degli Usa – oggi verranno rilasciati i dati settimanali – sono previste in crescita.  

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