Il sistema sanitario è un lusso?

Con la crisi economica si fanno sempre più insistenti voci che cercano di mettere in discussione lo stato sociale e le conquiste raggiunte in tutti questi anni, tra cui l’attuale sistema sanitario. Da più parti si invoca una radicale riforma della sanità, per ridurre costi ed oneri ed evitare così di aumentare le tasse per coprire i buchi di bilancio del servizio sanitario. Si è detto pure che la soluzione potrebbe essere quella di ridurre l’assistenza sanitaria pubblica al minimo, ricorrendo alle assicurazioni o facendo pagare integralmente o quasi i servizi a ricchi e benestanti. Ma questa, credo, non sembra una mossa proprio intelligente, perché potrebbe essere l’occasione, colta da qualcuno, per affossare il diritto alla tutela della salute, sancito dalla nostra  Costituzione all’articolo 32. Ed allora dobbiamo chiederci se e per quanto tempo potremo ancora permetterci un’assistenza sanitaria come l’attuale. 
Ma come si è giunti al Servizio sanitario nazionale? Una volta in Italia c’erano le mutue. Ciascun lavoratore versava una piccola parte del proprio salario come contributo alla cassa alla quale era iscritto e quando qualcuno degli iscritti aveva bisogno di assistenza sanitaria, ricorreva ai servizi offerti dalla propria mutua. Finché c’erano denari sufficienti in cassa, il sistema funziona, ma a metà degli anni Settanta le diverse casse operanti in Italia sono arrivate alla bancarotta, avendo accumulato un enorme debito nei confronti degli ospedali. Così nel 1978 il parlamento ha istituito il Servizio sanitario nazionale, che oltre a ripartire senza debiti, era anche privo del principale difetto che le mutue hanno in comune con le assicurazioni, cioè quello di garantire l’assistenza solo a chi versa i contributi o i premi assicurativi ed ai loro familiari. Chi non lavora, perché disoccupato o pensionato, o chi non ha i soldi per pagare l’assicurazione, resta senza assistenza. È ciò che accade, ad esempio, negli Stati Uniti, che è il paese che spende di più per la sanità al mondo, ma dove vi sono circa 40 milioni di persone senza nessuna copertura sanitaria. Costoro, quando stanno male e vanno in ospedale, se non hanno una carta di credito ben fornita o una copertura assicurativa, hanno diritto solo alle prime cure di emergenza, se si trovano in reale pericolo di vita, e poi vengono rispediti a casa. Contro questo sistema Obama ha avviato una lunga battagli, vinta in buona parte, anche se con una forte opposizione dei conservatori. Mutue e assicurazioni, non solo lasciano sempre qualcuno allo scoperto, ma sono anche diverse una dall’altra per dimensioni, criteri di gestione, costi e prestazioni, finendo per essere un sistema poco efficiente, con molti sprechi e, soprattutto, diseguale. Proprio il fallimento del sistema delle mutue, ha spinto il nostro paese, in attuazione della Costituzione, a scegliere il Sistema sanitario “universale”, dedicato cioè non solo a chi può pagare, ma a tutti i cittadini e anche agli immigrati. Per sostenere questo sistema, però, occorre un fondo alimentato non solo dai contributi, ma anche dalle tasse, per garantire almeno gli interventi essenziali (ricoveri in ospedale, farmaci, medici di famiglia e specialisti, esami e così via). Questo sistema è pubblico. Un tempo faceva capo allo Stato, dopo la riforma federalista, oggi fa riferimento alle regioni e viene gestito dalle Aziende sanitarie locali (ASL), che svolgono la funzione di pagare le prestazioni di cui i cittadini hanno bisogno e, soprattutto, di controllare che vengano svolte bene. Invece possono essere sia pubblici sia privati (in convenzione con la regione) gli ospedali, i centri e i professionisti che eseguono gli interventi necessari, come pure tutti gli altri produttori di servizi e di beni, come i farmaci o le apparecchiature. Ma la presenza di privati – anche se in convenzione – nel settore sanitario, ha introdotto il mercato, la concorrenza ed il profitto nel campo della salute e così i costi per la sanità hanno cominciato a lievitare, sino al punto di chiederci se sia possibile sostenere questo sistema, con la crisi attuale. Così si è data la colpa all’invecchiamento della popolazione e al dilagare delle malattie croniche, che spiegano solo in parte l’aumento dei costi, la cui quota maggiore è legata invece all’uso (o all’abuso) di tutte le tecnologie mediche, dalle TAC ai farmaci. E questo non è dovuto al fatto che sono aumentati i vecchi o i malati cronici, ma al marketing, che induce i medici a prescrivere più farmaci ed i cittadini a consumarne di più, proprio come se si trattasse di merendine.
Che fare allora? Potremo continuare a permetterci un’assistenza sanitaria come l’attuale, a patto però di non fare tagli indiscriminati, ma di scegliere davvero cosa serve per la nostra salute e cosa no, contrastando la spinta del mercato, che invece punta ad aumentare tutti i consumi di medicinali ed analisi, a prescindere dalla loro utilità. Sono altre le voci di spesa pubblica che meriterebbero un freno, come quelle militari. Bisogna quindi spendere non di più, ma meglio. La prova? Nelle regioni che spendono di più e con i conti della sanità in rosso i cittadini stanno peggio. L’alternativa sarebbe ritornare al fallimentare sistema delle mutue o, peggio che mai, alle assicurazioni, per una sanità d’élite e diseguale.

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