Ha sessantacinque anni ma non li dimostra!

Oggi festeggiamo la nostra Repubblica e vogliamo qui ricordarla partendo dal fondamento giuridico di essa: la Costituzione. La Costituzione ha sessantacinque anni ma non li dimostra. Era il primo gennaio del 1948, quando la nostra Carta fondamentale è entrata in vigore. Da allora molte cose sono cambiate, ma essa è rimasta il testo base su cui si radica la nostra democrazia, la nostra repubblica. Sessantacinque anni sembrano molti, se raffrontati alla vita di un essere umano, ma sono invece pochi se riferiti a quella di una costituzione. Basti pensare ad altre carte fondamentali ancora oggi “vive e vegete”, come quella degli Stati Uniti d’America, entrata in vigore nel 1788. Eppure, nonostante questo, furoreggia da tempo il mito di una costituzione da riscrivere, sulla spinta di logiche revisioniste ed operazioni volte ad adeguarla alle mutate esigenze sociali, economiche, politiche e culturali, tant’è che ogni legislatura si propone di essere costituente. Ma quando il ritmo delle riforme costituzionali segue quello dell’alternarsi dei governi, è forte il sospetto che si tratti in realtà di modifiche legate ad operazioni di potere, anche perché - si dice - sono ormai acquisite definitivamente tutte le conquiste che la Costituzione ha suggellato all’indomani della immane tragedia della
Seconda guerra mondiale. Ma si tratta di un grave errore, perché in realtà nessun principio, neppure quello che appare scontato e “scolpito” nel Dna della nostra democrazia, può sopravvivere a lungo se non è continuamente incarnato e vivificato dalla e nella testimonianza, più ancora che nelle parole, degli uomini di ogni  tempo. È indubbio che la nostra Carta rechi i segni dell’epoca in cui è stata scritta, ma da questo non possiamo trarne la conseguenza che per ciò stesso essa debba essere rivista. Non dobbiamo dimenticare che la Costituzione affonda le sue radici nella Resistenza e nell’antifascismo; essa fa riferimento alla libertà individuale, alla responsabilità, alla solidarietà, al principio di sussidiarietà, al primato del parlamento, come centro e luogo di composizione sintetica dei vari interessi presenti nella società; essa pone al centro la
condizione umana di debolezza e la voglia di risorgere e riscattarsi dopo il periodo nero della guerra. Non dobbiamo dimenticare che proprio nello stesso periodo nasceva l’Onu e muoveva i primi passi quella che sarà poi l’Unione europea, con la fondazione nel 1951 della Ceca (la Comunità europea del carbone e
dell’acciaio), che univa nazioni un tempo nemiche, come la Francia e la Germania. E la nostra Carta fondamentale è imbevuta proprio di questo spirito.
Se questo è il suo nucleo centrale, occorre adesso verificarne le indubbie strozzature e si scoprirà allora che la crisi della Carta non è interna, ma riposa al di fuori di essa: è di ordine culturale e dipende dallo smarrimento del senso di solidarietà tra i cittadini. Basti qui un duplice esempio, quello della scuola pubblica e quello dei partiti politici. La prima sembra ormai soccombere sotto le accuse di eccessivo burocratismo ed inefficienza e, pertanto, si reclama da più parti l’introduzione della concorrenza da parte delle scuole private,
considerate come la panacea ai mali della scuola pubblica. Invece è innegabile l’importanza del pluralismo educativo in una società democratica, pluralismo che può essere garantito solo dalla scuola pubblica, nelle cui aule si preparano i cittadini di domani. Passando adesso ai partiti politici, l’articolo 49 della Costituzione dà ad essi un ruolo rilevante nella vita democratica, perché considerati luogo di partecipazione aperto a tutti. Ma la chiusura oligarchica e corporativa dei partiti ha determinato una autoreferenzialità del sistema che,
anziché aprirsi, ha colonizzato il sociale, immettendovi i germi della divisione. Le stesse prerogative della classe politica sono viste oggi come odiosi privilegi, segnale di una lontananza abissale ormai esistente tra i cittadini ed i partiti, ben espressa nel termine “casta”. Se le condizioni tra chi sta dentro le stanze del potere ed i cittadini sono sempre più divergenti, allora la democrazia va in sofferenza e matura un senso di rancore verso le istituzioni, ormai occupate a tutti i livelli da politici sempre più screditati. La modifica del sistema dei partiti, col ripristino del senso della democrazia al loro interno, è allora la vera riforma (o l’attuazione?) della Costituzione. I partiti devono essere uno spazio democratico reale, aperto al dialogo, al confronto tra i
cittadini, in attuazione dell’articolo 49. Solo a questo punto appaiono percorribili tutte le alte ipotesi di riforma della nostra Carta fondamentale da più parti annunciate: quella in senso federale, quella relativa alla forma di governo… Solo così potremo dare vigore alla nostra “vecchia, giovane" Costituzione.

Commenti