Elettrodomestici in scadenza

Quante volte vi siete sentiti dire dal tecnico chiamato a controllare il guasto della lavatrice o del frigo: “Non le conviene riparare, costa troppo, meglio comprarne uno nuovo”? E col tempo questo ritornello diventa sempre più frequente, tanto da fare insospettire che dietro la durata degli elettrodomestici ci sia un trucco. Fino agli anni ‘70 la vita media di un elettrodomestico era di 20-30 anni, mentre oggi è 10 volte inferiore. Spesso, terminato il periodo della garanzia (24 mesi), l’apparecchio inevitabilmente si rompe. Perché? Il fenomeno si chiama “obsolescenza programmata”, cioè una progettazione dell’apparecchio finalizzata a vendere di più, riducendo la vita del prodotto. Ciò è dovuto a vari fattori: mercati saturi, mancanza di trasparenza, assenza di controlli… Comprare-buttare-comprare, sembra così questa la catena infinita che lega ormai i prodotti ai consumatori. In effetti l’economia della crescita a tutti i costi ha influenzato la nostra vita e non certo da ora. Già nel 1924 il cartello dei produttori di lampadine ha deciso di ridurre la loro durata da 2.500 a 1.000 ore, mentre negli anni ‘40 la Dupont ha peggiorato la qualità delle calze in nylon, rendendole più sottili e quindi più fragili. Ovviamente si tratta di affermazioni difficili da dimostrare. Ma “gli indizi” ci sono e tanti. Ai produttori basta poco, come ridurre di poco la durata dei prodotti o lasciarla sotto la soglia di percezione, come avviene, ad esempio, per alcune marche di rasoi elettrici, predisposti per durare 9 anni invece che 10; rendere irreperibili i pezzi di ricambio, prodotti in piccole quantità, ad alti costi e per poco tempo; rendere non sostituibili le batterie, che una volta esaurite fanno buttare via il prodotto…
L’obsolescenza programmata accelera quindi i consumi, contribuendo anche all’aumento della produzione di C02 e di rifiuti. Senza contare i danni psicologici sui consumatori (rabbia, delusione, sensazione di essere ingannato), oltre che quelli economici. Come difendersi? L’unico modo è quello di spostare la propensione al consumo dagli oggetti ai servizi che essi offrono. Un ufficio, ad esempio, non ha bisogno di comprare una fotocopiatrice, ma il servizio delle fotocopie. Se compra la macchina col servizio di manutenzione incluso, le rotture e gli inceppamenti sono all’ordine del giorno; ma se compra il servizio, cioè la possibilità di effettuare un certo numero di fotocopie al mese, mentre la macchina resta di proprietà del venditore, tutte le manutenzioni sono a suo carico e, come per incanto, si riducono, senza contare che quando la macchina sarà vecchia, sarà compito del venditore sostituirla e recuperarne i pezzi.
Ma è necessario pure cambiare l'attegiamento mentale del consumatore, modificando il significato dell’aggettivo "nuovo", per cui ogni volta che sul mercato viene introdotto un modello nuovo di un oggetto già esistente, le persone sentono il bisogno di gettare via l’oggetto che già posseggono per comprare quello nuovo, anche se la sua novità è puramente estetica o se i miglioramenti funzionali hanno una scarsissima utilità. Per difendersi, allora, occorre costruire una diversa scala di valori e fare le proprie scelte in base alla loro capacità di futuro. Se un modello nuovo ha una maggiore capacità di futuro del modello precedente (per esempio: consuma meno energia, è riparabile, è composto da materiali riciclabili...), allora la sua sostituzione offre un vantaggio reale. In caso contrario sarà meglio tenersi l’oggetto che già si possiede.

Commenti

Anonimo ha detto…
Ma roba dell'altro mondo! Ho appena letto l'articolo pubblicato dalla rivista scientifica Focus e sono rimasta allibita! Sto effettuando delle ricerche online e pare sia tutto vero. Focus spiega bene tutti i meccanismi che ci sono dietro questa grande truffa!