Coppie di fatto. Quale futuro? – parte prima

Lo sappiamo, sulle coppie di fatto la macchina della politica è ancora ferma e non si trova una via libera per fare transitare agevolmente una legge sulle unioni di fatto, sulla convivenza tra persone dello stesso sesso o tra coppie eterosessuali che non vogliono o non possono sposarsi. Non è così però per l’ordinamento giuridico italiano, che cerca comunque di adeguarsi alla realtà. Aumentano infatti le sentenze dei giudici a favore delle coppie di fatto, nascono guide sui diritti dei conviventi, con modelli di contratti e ricorsi, vengono promossi corsi di formazione (ed informazione) destinati ai conviventi… mentre la nostra Costituzione all’articolo 2 attribuisce legittimità alla convivenza di fatto, quale formazione sociale nella quale ciascuno dei partner sviluppa la propria personalità. Tutto questo fervore accade perché le convivenze fra persone non coniugate aumentano sempre più. Secondo gli ultimi dati Istat esse hanno raggiunto quota un milione e continuano a crescere; in un decennio sono più che raddoppiate, mentre i matrimoni diminuiscono costantemente a causa della crisi economica, perché sposarsi costa ancora troppo, oppure perché gli italiani cercano altro, vogliono cioè unioni libere dai lacci e laccioli della legge. Ma l’aumento delle convivenze ha posto anche l’accento sulla necessità di introdurre o cercare regole per risolvere potenziali conflitti e rivendicazioni tra i partner. E l’autonomia contrattuale, a questo punto, diventa la vera protagonista per prevenire cause e colmare i vuoti normativi, a tutela soprattutto della parte più debole del rapporto di fatto. A questo proposito il Consiglio nazionale del notariato ha annunciato che presso tutti i notai italiani è possibile stipulare i “contratti di convivenza”, per regolare i principali aspetti patrimoniali e, per quanto possibile, personali delle convivenza, anche in caso di una futura e sempre possibile fine del rapporto. In realtà non si tratta di una novità assoluta, perché questi contratti sono già presenti nel nostro ordinamento ed i notai non hanno inventato nulla di nuovo, potendo le coppie di fatto ricorrere ad una semplice scrittura privata, senza avvalersi necessariamente del notaio o dell’avvocato, anche se la consulenza di un professionista è anche qui utile per prevenire grane in futuro. Questo contratto non è disciplinato da alcuna legge, ma è possibile che venga stipulato tra i conviventi per regolamentare il proprio rapporto, definendo i diversi aspetti della vita comune, come il contributo che ogni partner è tenuto a dare alle spese per la gestione dell’immobile adibito a casa comune, la ripartizione dei costi per l’acquisto dei mobili che l’arredano e per la sua pulizia, cosa fare di questi beni in caso di rottura della convivenza… Ma i contratti di convivenza non possono garantire alla famiglie di fatto tutte quelle tutele - anche patrimoniali – che invece offre il matrimonio. Ma poi perché i conviventi dovrebbero regolamentare il loro rapporto di coppia stipulando un contratto, che contraddice proprio con la loro volontà di essere liberi da ogni legame giuridico? Non sarebbe stato più logico contrarre matrimonio? Ciò, ovviamente, non vale per le coppie omosessuali o per chi non può contrarre matrimonio (una convivenza tra fratelli, ad esempio).
Con il termine convivenza ci si riferisce all’unione di vita stabile nata al di fuori del matrimonio tra due persone legate da un vincolo affettivo. Il nostro ordinamento finora ha sempre riservato un trattamento differente alla coppia coniugata rispetto a quella di fatto; si pensi, ad esempio, alla casa adibita a residenza familiare. Il codice civile prevede l’obbligo di coabitazione dei coniugi (articolo 143), dal quale deriva il diritto del coniuge non proprietario di abitare nella casa familiare di proprietà dell’altro coniuge ed il potere del giudice di dare in godimento la casa familiare al coniuge cui sono affidati i figli minori, anche se non è il proprietario. Il convivente, invece, non ha alcun diritto sulla casa adibita a residenza comune, se di proprietà del partner; e così in caso di rottura dell’unione di fatto egli rischia lo “sfratto” su due piedi. Come si può allora ovviare a questa situazione di debolezza? Dando al convivente non proprietario un diritto di comproprietà o un diritto reale di godimento (usufrutto o abitazione) sulla casa adibita a residenza comune, anche se di proprietà del partner. Per realizzare questo obiettivo si può scegliere tra diverse opzioni, ognuna delle quali utile per ciascuna coppia di fatto. Lo vedremo nella seconda parte.

Publicato su: Il Mercatino - febbraio 2014.

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