Affitti in nero "salvati" dalla Corte costituzionale

La Corte costituzionale boccia l'affitto al minimo, previsto come "sanzione" dal decreto legislativo 23 del 2011 per quei proprietari che non hanno registrato il contratto di locazione. La Consulta - con la sentenza 50 del 2014 - ha infatti dichiarato incostituzionale i commi 8 e 9 dell'articolo 3, che prevedevano un meccanismo punitivo per i proprietari di immobili che hanno affittato case senza avere registrato il contratto o registrandolo per un importo inferiore, intascando così in nero la differenza. In sostanza il decreto legislativo prevedeva che l'inquilino che avesse denunciato il proprietario evasore, avrebbe ottenuto per quattro anni un drastico abbattimento del canone, fino ad un importo pari al triplo della rendita catastale. Un bel colpo, quindi, per il proprietario che avesse voluto fare il "furbo" con il fisco. Oggi la Corte costituzionale ha annullato tale possibilità, anche se solo per un vizio di forma (la mancanza di delega dal parlamento al governo), ma gli effetti sono comunque gli stessi: la norma è stata cassata e non se ne parla più. Quali sono gli effetti di questa pronuncia? Tornano in vigore i vecchi contratti originariamente sottoscritti dalle parti, cioé quelli con i canoni più alti, anche se già  denunciati dagli inquilini perché irregolari sotto il profilo del pagamento dell'imposta di registro. Per cui da adesso l'inquilino dovrà ritornare a pagare un canone maggiore, cioè quello originarimente poattuito e non più quello depurato per effetto della norma oggi cassata dalla Consulta. 

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