Comodato e fisco


In tempo di crisi si sa si cerca di trovare scappatoie per pagare meno tasse, nel pieno rispetto della legge. E così si potrebbe puntare a “prestare” una casa a parenti per avere un fisco più leggero. Come? Con il contratto di comodato. Il comodato è quel contratto con il quale il comodante consegna al comodatario un immobile (o anche un bene mobile) per un uso ed un tempo determinato, alla scadenza del quale vi è l’obbligo di restituzione. Un esempio di comodato è il prestito del libro o dell’auto ad un amico. Ma possono prestare anche la casa. Il comodato è sempre gratuito (se fosse stabilito un corrispettivo per il comodante, sarebbe una locazione o un affitto) e può essere fatto in forma scritta o verbale e non sempre è necessaria la registrazione. Ma se il contratto di comodato riguarda un immobile, occorrerà la forma scritta e la registrazione in misura fissa (200 euro) ed una volta soltanto entro 20 giorni dalla stipula. Il contratto può anche non prevedere una scadenza ed allora si intende stipulato a tempo indeterminato ed il comodatario dovrà restituire il bene ricevuto al comodante a semplice sua richiesta. Come abbiamo visto, è vero che il contratto di comodato può essere anche orale, anche se riguarda il prestito di un immobile, però in alcuni casi è meglio stipularlo per iscritto. Vediamo un caso specifico per capirci meglio.
L’articolo 13 del decreto legge 201 del 2011 prevede che i comuni possano assimilare all’abitazione principale l’immobile dato in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado (genitori e figli, cioè), che lo utilizzeranno come abitazione principale, godendo così di sconti fiscali, primi fra tutti quelli sull’Imu. Ricordiamo che per abitazione principale si intende quella nella quale il proprietario o il titolare di altro diritto (comodatario) e i suoi familiari hanno la dimora abituale. Che succede quindi? Questi comuni chiederanno di solito al comodatario, perché possa usufruire delle agevolazioni fiscali, la prova dell’esistenza del comodato, che potrà avvenire solo esibendo il relativo contratto o, per lo meno, presentando una autocertificazione, soggetta sempre a possibili controlli. E per sapere se quel dato comune concede o no queste agevolazioni ed in che misura, bisogna controllare attentamente le deliberazioni. In caso di controllo positivo, ci sarà un’assimilazione delle case date in comodato all’abitazione principale, quindi, agevolazioni nelle imposte. Se questa assimilazione non è possibile, perché il comune non prevede agevolazioni o perché si tratta di immobile dato in comodato a parenti diversi da quelli in linea retta entro il primo grado, allora il proprietario dovrà pagare l’Imu per intero. Se poi l’immobile è soggetto a Tasi, secondo deliberazione comunale, questa graverà su entrambe le parti del rapporto di comodato (comodante e comodatario). Oltre alle tasse comunali, non bisogna dimenticare che gli immobili, anche se concessi in comodato, producono reddito e quindi sono pure soggetti ad Irpef a carico del proprietario o del comodatario. In questo caso entra in gioco il meccanismo della riduzione per l’abitazione principale. Così se i genitori hanno due case e ne concedono in comodato una al figlio, quest’ultima non potrà beneficiare delle riduzioni per abitazione principale, qualora il genitore ne ha già usufruito per l’altra abitata. Invece, se i due genitori abitano in una casa presa in locazione e concedono al figlio l’unica casa di proprietà, allora questa potrà godere delle riduzioni Irpef come abitazione principale e sarà completamente detassata.

Pubblicato su: Il Mercatino - dicembre 2014

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