Morire con dignità

Sul domenicale de Il Sole 24 ore di domenica 27 dicembre c'è un articolo di Miche De Luca sul dignità della morte e sul fine vita, che condivido e che vorrei proporre all'attenzione di tutti, perché credo sia importante porre l'attenzione su tale tema. Eccolo.  

Provate a immaginare quale possa essere il momento più intimo e privato della vostra vita. Personalmente non riesco a immaginarne uno che lo sia più della sua fine, quando mi renderò conto che il countdown per il mio commiato da questo mondo è ormai davvero iniziato. Ognuno di noi si augura una morte serena e indolore, possibilmente improvvisa e inaspettata, con la minor sofferenza fisica e psichica possibile a precederla. Quella che si può ritenere a pieno titolo “eutanasia”, cioè bella morte come suggerisce l'etimo. Molti di noi avranno questa fortuna, molti altri purtroppo no. Immaginate poi di ricevere una diagnosi infausta. E di vedere davanti a voi, oltre all'inesorabilità della morte, solo un destino di sofferenza e di decadimento fisico tale da rubarvi persino la dignità. Di cosa avreste più paura? Della morte in sé o del drammatico percorso per arrivarci, soprattutto se prolungato nel tempo? La risposta dipenderà ovviamente dalle convinzioni individuali. Ci sarà chi affronterà tutto questo come un percorso di redenzione o un'opportunità di portare la propria croce per ottenere la beatitudine nell'aldilà. E chi, come me, farà di tutto per minimizzare la sofferenza per sé e per gli altri, che inevitabilmente saranno coinvolti in questo percorso.
Non so quale sia la scelta giusta. Non posso saperlo, perché non esiste una scelta giusta tout court, ma solo la scelta giusta per ciascuno di noi, rispondente solo alla propria coscienza. Quello che conta è che sia una scelta. Sembrerebbe scontato, ma non lo è affatto. Quello dell'eutanasia legale, o del fine vita (come preferisco chiamarlo, perché è di questo che si tratta), è un problema quanto mai attuale. Non tanto perché il singolo caso di attualità, di chi si reca all'estero per ottenere quello che avrebbe il diritto di avere qui, periodicamente scatena la stampa e rimbomba per qualche giorno nei TG, ma perché nonostante le migliaia di firme di cittadini italiani raccolte e depositate in parlamento e nonostante l'appello dell'ex Presidente della Repubblica Napolitano, i nostri politici continuano da anni a procrastinare la discussione di questo tema, come se non si trattasse di una delle libertà fondamentali dell'individuo che lo Stato dovrebbe tutelare.
E qui entra in gioco la peculiarità del nostro Paese. Di quella creatività italiana che, se ha reso forte il made in Italy nel mondo, diventa devastante quando coinvolge i concetti di etica, libertà e diritto. Quella “creatività” che ha plasmato concetti come il diritto di cura anche quando una cura non solo non c'è ma è una stregoneria addirittura pericolosa per la salute, come avvenne col caso Stamina. Quella “creatività” che considera “etiche” cellule ottenute da feti abortiti spontaneamente (sebbene in Italia l'aborto volontario sia una pratica perfettamente legale) ma non le staminali embrionali (salvo poterle importare dall'estero con logiche incomprensibili), che potrebbero invece avere un potere terapeutico assai superiore e quindi molto più rispondente al concetto di etica che, da medico e ricercatore, mi appartiene. La stessa “creatività” che ha cercato di osteggiare la diagnosi pre-impianto violando il diritto dei genitori a mettere al mondo figli sani o costringendoli all'aborto quando la tecnologia permetterebbe di evitare tutto ciò.
Cosa potrebbe esserci di più etico che concedere ai cittadini il diritto di scegliere come e quando porre fine alle proprie sofferenze? Quale violenza maggiore si potrebbe immaginare dell'imporre a qualcuno, in un momento tanto intimo e privato, le scelte di qualcun altro, dettate da una coscienza, da un'ideologia o da un credo religioso che non sono i propri? Che differenza c'è tra questa subdola violenza psicologica e quella perpetrata dai regimi totalitari, di qualsiasi colore, in giro per il mondo? Si può definire democratico liberale uno Stato che priva i cittadini della libertà e impone un carico di sofferenza addizionale a chi già soffre?
Non ho mai usato tanti punti interrogativi in un mio scritto. Ma qui sono d'obbligo, perché ci sono troppe domande ancora aperte che hanno bisogno urgentemente di una risposta. E tanti interrogativi che per la loro stessa essenza non possono avere risposta se non nella libertà del singolo, che il legislatore può garantire solo intervenendo e legalizzando l'autodeterminazione del fine vita. In mezzo a tante domande ho almeno una certezza: ringrazio Marco Cappato e i militanti dell'Associazione Luca Coscioni, di cui ho l'onore di essere co-presidente, per avermi dato la certezza che quando sarà il momento potrò contare sul loro aiuto per essere accompagnato verso la fine delle mie sofferenze. E spero davvero, quel giorno, di potermi addormentare per sempre nel mio letto e non a migliaia di chilometri da casa perché uno stato che si definisce laico e democratico impone alla mia vita delle scelte non mie.

Commenti