Quando
potrò andare in pensione? Come sarà calcolato il mio assegno? Sono queste – ed
altre ancora – le domande che i lavoratori hanno iniziato a farsi dopo
l’entrata in vigore della riforma del sistema previdenziale, che prende il nome
dalla ministro del lavoro Elsa Fornero. Si tratta di domande a cui è difficile
rispondere, anche perché il sistema è cambiato da poco e gli effetti si stanno
appena cominciando a vedere. Qui cercheremo allora di dare alcune risposte ad
alcuni quesiti che ciascuno di noi si pone in tema di pensioni.
Le novità. Il sistema contributivo. La riforma ha modificato
profondamente il sistema pensionistico italiano. La novità principale è
l’abbandono del sistema retributivo per un sistema contributivo. Di cosa si
tratta? Volendo semplificare al massimo possiamo dire che per i lavoratori
assunti fino 31 dicembre 1995 la pensione veniva calcolata con il sistema
retributivo, indipendentemente cioè dai contributi versati e tenendo solo conto
delle migliori retribuzioni degli ultimi anni di lavoro. Era perciò possibile –
anzi accadeva di solito – percepire una pensione di importo quasi uguale all’ultimo
stipendio o salario percepito. Solo ai lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996
si applicava il sistema contributivo, con il quale l’ammontare della pensione veniva
calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati. Con la riforma
Fornero, invece, dal 1° gennaio 2012 il sistema di calcolo per tutti è diventato
quello contributivo, basato cioè solo sui contributi effettivamente versati dai
lavoratori durante l’intero periodo lavorativo. In questo modo si rischia però
di percepire una pensione inferiore all’ultima retribuzione.
Addio pensione di anzianità. La riforma ha pure
semplificato le prestazioni a favore dei lavoratori. La regola è ora la
pensione di vecchiaia e l’unica eccezione ammessa è il trattamento anticipato.
Scompare quindi la pensione di anzianità, con la quale si poteva andare in
pensione a qualsiasi età, avendo solo maturato alcuni anni di servizio. Il
diritto alla pensione di vecchiaia si matura quando si raggiunge un’età minima,
che prima della riforma era di 65 anni per gli uomini, mentre alle donne si
applicava un sistema differenziato in funzione del settore lavorativo. Dal 1°
gennaio 2012, invece, l’età minima per andare in pensione è fissata per tutti
gli uomini al compimento del 66 anno di età, requisito che varrà anche per le
donne a partire dal 2018. Questi limiti d’età saranno però destinati a crescere,
in virtù del meccanismo di aggancio della pensione alla aspettative di vita. La
logica è evidente: quando la qualità della vita migliora, deve allungarsi anche
la permanenza al lavoro, in modo che la maggiore durata della vita media non si
traduca in un maggior costo per lo Stato. In ogni caso dal 2021 l’età minima
per andare in pensione sarà per tutti – uomini e donne, lavoratori privati e
pubblici – 67 anni. Prima non si potrà andare via dal lavoro. Ma oltre al
raggiungimento dell’età minima per andare in pensione, occorrerà anche avere accantonato
almeno 20 anni di contributi, per chi è entrato nel mondo del lavoro dal 1°
gennaio 1996.
La pensione anticipata. Come già detto,
la riforma Fornero ha abolito la pensione di anzianità, che per tanti anni ha rappresentato
una delle cause di squilibrio del sistema pensionistico italiano, in quanto
andare in pensione molto presto determina un costo eccessivo per l’Erario rispetto
ai contributi realmente versati. Adesso si potrà andare in pensione prima dell’età
minima per avere diritto alla pensione di vecchiaia - cioè prima del raggiungimento
dei 67 anni di età - solo se si raggiungono i 41 anni e un mese (per le donne)
o i 42 e un mese (per gli uomini) di contributi, con una penalizzazione per chi
sceglierà comunque di andare via dal lavoro prima dei 62 anni.
La clausola di salvaguardia. Il nuovo
sistema permette certamente calcoli più facili per la pensione, rispetto al
precedente meccanismo, ma la riforma ha introdotto pure una tutela per i
lavoratori nati nel 1951-52. Gli uomini che entro il 2012 matureranno quota 96
(sommando l’età anagrafica – che non potrà comunque essere inferiore a 60 anni -
e gli anni di contributi) e le donne che raggiungeranno i 20 anni di
contributi, potranno andare in pensione a 64 anni di età.
Gli esodati. Sono i
lavoratori in mobilità, quelli autorizzati alla prosecuzione volontaria, i
dipendenti pubblici in posizione di esonero e quelli a carico dei fondi di
sussidiarietà. Essi potranno andare in pensione con le vecchie regole, valide
fino al 31 dicembre 2011.
Pubblicato su: Il Mercatino - novembre 2012.
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