La madre che non riconosce il figlio al momento del parto può cambiare idea, anche se sono scaduti i due mesi fissati dalla legge per il ripensamento, purché l’intenzione di tenere con sé il bambino sia manifestata prima della decisione finale del procedimento di adozione o di affidamento pre adottivo. Lo ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza 2802 del 9 febbraio scorso. Questi i fatti. Una suora era rimasta incinta in seguito ad una violenza subita da un sacerdote. Dopo il parto la donna non aveva voluto riconoscere il figlio e così era iniziata la procedura per la sua adozione. Ma dopo 73 giorni – quindi dopo i 60 giorni fissati dalla legge perché si possa cambiare idea - la stessa è ritornata sui suoi passi ed il tribunale ha bloccato la procedura, per verificare lo stato di abbandono del minore. La decisone non è piaciuta al pubblico ministero, che l’ha impugnata con successo in corte d’appello. Per i giudici di secondo grado, infatti, bisognava applicare alla lettera la legge e non accogliere l’istanza della madre, essendo trascorsi i 60 giorni voluti dalla legge per cambiare idea. La Cassazione, alla quale si è poi rivolta la donna, ha però censurato la decisione di secondo grado. Per i giudici romani la tassatività del termine dei due mesi per il riconoscimento va messa in relazione alla particolarità del caso e con l’interesse preminente del minore. Nel caso specifico la volontà della madre di cambiare idea e di tenere con sé il piccolo, pur manifestata dopo i 60 giorni di legge, è arrivata comunque in tempo utile, prima della conclusione del procedimento per l’adozione o per l’affidamento pre adottivo. Sicché bisogna comunque tenerne conto.
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